Olivicultura

L’olivo e l’olio, una storia millenaria

L’olivo ha origini antichissime.
La sua provenienza è ancora controversa: Asia minore, Basso Egitto o bacino del Mediterraneo; di certo c’è che nessun’altra pianta ha avuto un posto così importante nella cultura occidentale.
La civiltà Minoica lo coltivava attorno al 3500 a.C.; corone di olivo sono state rinvenute accanto alle mummie egizie della XX dinastia (1200 a.C.);
i Fenici lo introdussero in Grecia intorno al 1700 a.C. .
Proprio nell’antica Grecia la coltivazione dell’olivo ebbe grande sviluppo, tanto da assumere un ruolo di rilievo anche nella mitologia.

Aristotele in una sua opera cita una legge che condannava a morte coloro che abbattevano un olivo, pianta sacra.
La cultura ebraico-cristiana vuole l’olivo simbolo della rinascita dopo il diluvio universale.
Il termine ebraico “Messia” (Maschiak) significa letteralmente “Unto dal Signore”.
Probabilmente furono i greci, all’epoca del leggendario re di Roma Lucio Tarquinio Prisco (616-578 a.C.) ad introdurre l’olivo in Italia, al seguito dei coloni che fondarono le città della Magna Grecia.
I romani introdussero la sua coltivazione in tutti i territori di loro dominio.
Dai testi di Plinio, Catone e Columella si comprende l’importanza economica assunta dall’olivo ed il largo impiego dell’olio nell’uso alimentare, cosmetico e quale combustibile.
Anche nelle Marche l’olivo arriva con i romani, che nel III° secolo a.C. stipularono patti di alleanza con i popoli nativi.
I fertili terreni di alcune province marchigiane vennero da essi divisi in appezzamenti (centuriazioni) e distribuiti ai veterani dell’esercito, quale forma di previdenza per la vecchiaia, con aumento della produzione di grano, vino ed olio.
Con la caduta dell’ Impero Romano di Occidente la coltivazione dell’olivo attraversò un periodo di crisi.
Ma non sparì, grazie soprattutto ad Abbazie e Monasteri, diffusi in quei territori, come le Marche, dove maggiore era l’influenza della Chiesa di Roma.
Una conferma ci viene da il Muratori che nelle sue “Antichità d’Italia nel Medioevo” scrive che nel 1228 le navi che approdavano a Ferrara dovevano pagare il ripatico, un pedaggio consistente in 25 libbre di olio: all’olio marchigiano veniva conferito un valore superiore a quello delle altre regioni.
Nel 1263 i veneziani separavano le derrate di olio de la Marchia dalle altre per rivenderlo ad un prezzo superiore in virtù di aroma e sapore.

L’olivo è la coltura più diffusa nelle Marche con oltre 26.000 aziende produttrici di olio.
La sua larga diffusione ha influenzato le tradizioni e la cultura contadina.
Le olive e l’olio rappresentano non soltanto dei nobili prodotti della terra, ma elementi di una ritualità che scandisce il tempo della vita rurale.
A febbraio la potatura degli olivi, primo lavoro del nuovo anno.
Con l’inizio della primavera e l’aumento della temperatura il travaso dell’olio dell’anno prima.
In autunno la raccolta delle olive, il cui inizio è legato a ricorrenze e festività, diverse da zona a zona.
Le fredde serate autunnali vengono impiegate per separare le olive dalle foglie tramite i corvelli, attrezzi in canna di un artigianato ormai scomparso.
Ed infine il rito della molitura con le nottate passate accanto al fuoco del frantoio in attesa del proprio turno.
Questo è l’olivo, simbolo dell’operosità dei marchigiani, elemento inconfondibile del paesaggio, testimone di una storia millenaria.

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